NOTIZIE INTEGRATIVE
C’è stato un periodo in cui i due nomi coesistevano e si diceva, indifferentemente, Liberata oppure Reparata. In molti documenti ed atti notarili del Cinquecento, infatti, si trova scritto Santa Liberata, seu Riparata, vale a dire Santa Liberata o, come anche si dice, Santa Reparata.
La lapide dice pure che la chiesa fu eretta per iniziativa e con i mezzi dei cittadini di Casoli, e che, pertanto, non poteva e non doveva ricadere sotto la potestà dei vari feudatari. Inoltre, con la bolla di Niccolò V – ottenuta probabilmente dal nostro concittadino Gaspare de Aventinis, che, in quanto vicario del vescovo teatino, ebbe rapporti con la Santa Sede – Santa Liberata si proponeva come santuario, tant’è che chiunque l’avesse visitata devotamente, avrebbe avuto due anni di indulgenza.
E, infatti, lo scopo fu raggiunto: erano molti, invero, i pellegrini che in passato venivano a pregare la nostra santa. Scriveva Mosè D’Amico, un nostro sacerdote vissuto nell’Ottocento, che le rendite di Santa Reparata erano talmente cospicue che «i numerosi pellegrini, i quali vi traevano ogni anno, vi erano graziosamente alimentati nei giorni del primo maggio e degli otto ottobre, nei quali si teneva una fiera ad onore di detta Santa, dispensandosi negli stessi giorni olio, pa
ne e vino a tutte le famiglie casolane». La bolla pontificia con cui si concedevano i due anni d’indulgenza vi era ancora conserva
ta nel 1568, quando l’ebbe tra le mani e ne prese nota il vicario dell’Arcivescovo teatino, durante la visita apostolica nel nostro paese; così come vide una bella croce d’argento, di cui più tardi non si ebbe più notizia.
Il tratturo era la strada ai margini della Montaniera, la strada che collegava la valle dell’Aventino a Lanciano e, quindi, al mare.
Sin da subito la chiesa, oltre ad essere dotata di case e terreni da parte dell’Università, ricevette per almeno tre secoli generosi lasciti e donazioni dai fedeli. Ad amministrare l’ingente patrimonio economico, che così venne a formarsi, provvedeva un’apposita Confraternita, la cosiddetta Cappella di Santa Reparata, che, oltre a curare la normale manutenzione del sacro edificio, ebbe il merito grandissimo di adornarlo artisticamente.
Le abbreviazioni SPQR, a sinistra, e PCQF, a destra dell’arco trionfale di chi guarda hanno il seguente significato:
SENATUS POPULUSQUE ROMANUS
(dove, però, per Romanus è da intendere Laromanus)
POPULUS CASULANUSQUE FECERUNT.
L’epigrafe rimanda ad un evento molto importante: vale a dire al fatto che, durante il XV secolo, in seguito alla parziale distruzione del loro abitato e per sfuggire alle calamità di altri eventi bellici, gli abitanti di Laroma (l’antica Cluviae) abbandonarono il loro territorio per rifugiarsi a Casoli. Sicché, più tardi, laromani e casolani, divenuti ormai un sol popolo, si prodigarono insieme per il decoro artistico di Santa Reparata e con quell’epigrafe scolpita nella pietra vollero consegnare ai posteri la memoria della loro storica fusione.
Tra l’abside e la navata centrale fu innalzato un altissimo jubé vale a dire una balaustrata ingraticolata a legno tutto scolpito, che venne poi sostituita nel 1847 da una in ferro; e in passato c’era pure un pergamo, «lavoro di un cappuccino di Lanciano, portato in Casoli nel 1744».
Poi, verso la metà del Settecento le rendite della Cappella raggiunsero il loro massimo storico – ma nel frattempo, purtroppo, c’è anche chi provvide a dilapidarle. Da quel momento in poi si assiste ad un affievolimento della devozione per la Santa, mentre si afferma sempre più il culto di san Gilberto, anch’esso proclamato protettore di Casoli. Sembra che gli argenti e gli arredi sacri furono rubati dai francesi nel 1799, durante il tempo della Repubblica Napoletana.
(I testi sono stati desunti o trascritti dalle opere di Nicola Fiorentino citate nella Bibliografia generale della Cartina Turistica)